Il lungo viaggio dei jeans, dalla pianta di cotone agli scaffali dei negozi.
La produzione di un paio di jeans si estende per 4 continenti e le varie componentistiche con cui viene realizzato un jeans possono viaggiare fino a 65.000 km, con un evidente impatto diretto sull’ambiente.
Un paio di jeans Levi’s® 501 produce 33,4 kg CO2eq durante tutta la sua durata di vita. Poco più di un terzo di queste emissioni proviene dalla produzione di fibre e tessuti, mentre un altro 8% proviene dal taglio, cucito e rifinitura dei jeans. L’imballaggio, il trasporto e la vendita al dettaglio rappresentano il 16% delle emissioni mentre il restante 40% proviene dall’uso dei consumatori – principalmente dal lavaggio dei jeans – e dallo smaltimento in discarica.
Metà dei danni ecologici prodotti dalla produzione di jeans sono collegati al trasporto, l’altra metà alla raccolta del cotone.
Trasporto del cotone
Da quando viene raccolto il cotone a quando viene cucito e poi inviato in Europa, un paio di jeans ha già fatto una volta e mezzo il giro del mondo.
Solo il trasporto di queste merci produce il 13% delle emissioni annue totali di co2.
Per realizzare un paio di jeans occorrono ben 18 elementi diversi, provenienti da parte di tutto il mondo.
Ad esempio in uno stabilimento in Tunisia dove vengono assemblati tutti i materiali necessari per la realizzazione di un paio di jeans:
- Il cotone proviene dal Mali;
- Il blu indaco, che da il colore tipico del jeans necessario per la tintura, proviene dalla Germania;
- Il rame per la realizzazione dei bottoni viene dalla Namibia;
- Lo zinco per i bulloni viene dall’Australia;
- Le pietre necessarie per sbiadirli ad arte proviene dalla Turchia;
- La cerniera, invece, viene dal Giappone.
In media 12 paesi sono coinvolti nella realizzazione di un paio di jeans.
Coltivazione del cotone
Nessun’altra attività agricola utilizza così tanti prodotti chimici quanto l’industria del cotone.
Per il cotone si utilizzano un quarto dei pesticidi prodotti in tutto il mondo. Spesso i lavoratori li utilizzano in dose elevate e senza protezioni. Questi pesticidi negli ultimi anni sono stati vietati in Europa. Ma non in India, paese in cui viene coltivata la maggior parte del cotone utilizzato nell’industria della moda.
La quantità di acqua necessaria alla produzione di un paio di jeans è equivalente al fabbisogno di acqua per 100 giorni di vita di una persona che vive in occidente e di un anno di una persona che vive nel sud Sahara.
Un volta che il cotone viene raccolto, poi, viene inviato al cotonificio per essere tessuto e tinto.
La stoffa, poi, viene inviata alla destinazione finale dove verrà realizzato il jeans. Quasi sempre si tratta di fabbriche nel sud del mondo dove lo stipendio dei lavoratori è meno di un decimo di uno stipendio di un operaio europeo.
In questa fase il jeans subisce in tutto 50 diversi trattamenti.
Il procedimento più inquinante è quello denominato stone washed, che contienine Cloro e permanganato di potassio. La formaldeide viene utilizzata per renderli più resistenti.
Un altro enorme danno ecologico riguarda lo smaltimento di tutte le sostanze tossiche con cui vengono trattati i jeans.
Molte fabbriche espellono le acque inquinate nelle risorse idriche naturali avvelenando fiumi, mari e acque sotterranee. Il 20% dell’inquinamento delle risorse idriche mondiali dipende dall’industria della moda. La pericolosità di questi scarichi ha effetti negativi sull’uomo, sugli animali e sull’ambiente circostante.
Se noi consumatori continuiamo a chiudere i nostri occhi, questo inquinamento non si potrà mai arrestare.
Potete approfondire ancora sul Denim guardando questo interessante documentario