Lavoratori tessili e Covid 19

L’impatto della pandemia da Covid 19 ha avuto enormi conseguenze sul settore tessile, manifestando l’inadeguatezza e l’ingiustizia del modello economico su cui l’industria della moda si è basata negli ultimi 20 anni.

Negli ultimi giorni, le proteste a seguito della morte di George Floyd hanno portato ad accendere riflettori sempre maggiori su ogni tipo di sfruttamento sociale e sempre più voci hanno stanno paragonando il sistema moda ad un sistema colonialista

Quello che sta succedendo in questi mesi nei paesi dove risiedono le maggiori fabbriche di produzione tessile  rappresenta una vera piaga sociale. 

Come in tutto il mondo, anche le aziende del settore tessile hanno momentaneamente chiuso per l’emergenza sanitaria. In questa situazione di disagio estremo, molti marchi internazionali hanno deciso di cancellare gli ordini addossando rischi e costi nella parte più bassa della filiera.

Ciò ha fatto sì che molte fabbriche non hanno potuto contare su mezzi finanziari per pagare gli stipendi ai propri dipendenti, anche per ordini già eseguiti.

Milioni di lavoratori sono rimasti senza una paga e senza la sicurezza di un lavoro, in aggiunta alle ovvie e non trascurabili preoccupazioni per i rischi sanitari.

I lavoratori dell’abbigliamento guadagnano già uno stipendio al di sotto del minimo salariale (India, Bangladesh, Cambogia), che non permette di risparmiare nulla per gestire le emergenze o i periodi di assenza dal lavoro. 

Queste chiusure, sia temporanee che permanenti, stanno spingendo i lavoratori verso il baratro – soprattutto i lavoratori migranti che potrebbero non avere reti sociali locali su cui fare affidamento e potrebbero dover affrontare ulteriori restrizioni o attacchi xenofobi”.

“Annullando gli ordini, ritardando la pianificazione di nuovi ordini o forzando sconti su merci già prodotte, le aziende di abbigliamento hanno creato una situazione in cui i fornitori non sono in grado di pagare i lavoratori in tempo o addirittura per nulla”. 

Secondo le inchieste dei media e le informazioni che Campagna Abiti Puliti ha raccolto attraverso la sua rete di partner, i Paesi più colpiti sono lo Sri Lanka, il Bangladesh, l’Indonesia, l’Albania e gli stati dell’America centrale.

Il minimo che marchi e distributori possono fare durante la crisi è pagare per gli ordini già eseguiti. Quando la pratica della maggior parte dei brand di annullare tali ordini è stata criticata, diverse aziende sono tornate sui loro passi, per il sollievo dei fornitori” ha affermato Liana Foxvog dell’International Labor Rights Forum. 

Purtroppo solo pochi brand internazionali hanno deciso di sostenere i loro fornitori in questo momento di crisi globale.

Clean Clothes Campaign ha individuato e stilato un elenco che vi riportiamo:

Attualmente le pressioni economiche hanno portato alla riapertura di molte fabbriche tessili e, se già prima le condizioni di sicurezza e salute sul lavoro erano miserevoli, con la pandemia ancora in circolo la situazione è veramente grave. 

Seguiamo attraverso i canali social di Clean Clothes Campaign, Asia Floor Wage Alliance ed altre realtà che sostengono i lavoratori del tessile quello che sta succedendo in questi giorni dopo le riaperture delle fabbriche.

In Myanmar, nelle fabbriche che producono per Mango, Tally Weil e Zara, i lavoratori che con le associazioni sindacali hanno dimostrato contro le scarse condizioni di igiene e sicurezza sono stati licenziati. 

Lo stesso è successo a lavoratori di fabbriche tessili in Sri Lanka che producono per Polo Ralh Lauren e Calvin Klein.

Non possiamo continuare ad assistere inermi a queste violazioni dei diritti fondamentali, attendendo soltanto l’arrivo dei saldi estivi per acquistare abiti che sono il prodotto di sacrifici e soprusi dei lavoratori tessili.

Le aziende hanno la responsabilità di prevenire e porre rimedio alle violazioni dei diritti umani nelle proprie catene di fornitura. 

Su questo fronte segnaliamo come Campagna Abiti Puliti abbia lanciato una petizione rivolta alle imprese italiane del settore moda affinché adottino condotte responsabili e non spostino il peso della crisi sanitaria sugli operai all’altro capo delle loro catene di fornitura. 

Noi come consumatori abbiamo il dovere di far sentire la nostra voce, dobbiamo chiedere alle aziende di rispettare le persone che lavorano per loro. Abbiamo l’opportunità di scegliere e premiare i brand dai quali acquistare i nostri abiti.

Il nostro invito è di donare, sostenere e condividere le campagne sociali delle associazioni che seguono i lavoratori sul campo per fare sempre più pressione ai brand al fine di rivedere le loro politiche sociali.

Approfondimenti su Lavoratori tessili e Covid-19

Asia Floor Wage Alliance

Remake

Clean Clothes Campaign

Aja Barber – Clothing is political

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