Fast fashion: una storia che va cambiata

Inizia la collaborazione fra Dress the Change e Mani Tese nella redazione di contenuti. Inauguriamo questa novità con un articolo di Riccardo Rossella, Advocacy Officer di Mani Tese.


Settembre, tempo di saldi. Le promozioni sulle rimanenze estive sono esposte in bella mostra nelle vetrine dei negozi e ci invitano a comprare un altro paio di pantaloni corti, o una gonna, da sfoggiare negli ultimi scampoli di bella stagione.

Eppure, i prezzi vantaggiosi che troviamo sulle etichette non riflettono il reale costo degli indumenti che ci accingiamo ad acquistare. Un costo in realtà enorme, non tanto per le tasche dei consumatori quanto per l’ambiente e le persone che quegli indumenti li producono.

Basti pensare che ogni anno il settore dell’abbigliamento è responsabile dell’emissione di 1,2 miliardi di tonnellate di CO2 , valore maggiore alla somma di tutti i trasporti aerei e navali internazionali, e impiega 17 miliardi di metri cubi d’acqua.

Tutto questo avviene per fabbricare capi di cui ci sbarazziamo con sempre maggiore facilità: si stima che ogni secondo l’equivalente di un camion carico di rifiuti tessili finisce in discarica o in inceneritore.

Alla pressione sulle risorse naturali va aggiunta quella sui lavoratori e le lavoratrici impiegate lungo la filiera produttiva, una pressione che si traduce in sfruttamento e violazioni dei diritti.

Ritmi di lavoro estenuanti, paghe da fame, abusi, luoghi di lavoro che non rispettano le più basilari misure di sicurezza, limitazione o negazione della libertà di associazione sindacale sono la realtà quotidiana con cui si confronta una quota rilevante dei 60 milioni di persone, la maggior parte delle quali donne, che producono i vestiti che indossiamo.

Questi fenomeni, non di certo nuovi per il settore, si sono acuiti con l’esplosione della fast fashion, che basa la propria capacità di offerta continua di nuove collezioni a prezzi stracciati su strategie di delocalizzazione della produzione in paesi caratterizzati da bassi costi di manodopera, assenza di un sistema di tutela efficace dei lavoratori e legislazioni permissive in ambito ambientale. Si tende a comprare molti più vestiti di quanti se ne hanno realmente bisogno e a cambiarli sempre più spesso, in un frenetico ciclo di produzione e consumo che amplifica gli impatti sull’ambiente e sui lavoratori, costretti a ritmi di lavoro insostenibili per soddisfare gli ordini dei grandi marchi che impongono le regole e dettano i tempi.

Di fronte a tutto ciò Mani Tese ha deciso di mettere in campo il progetto Cambia MODA! – Dalla fast fashion a una filiera tessile trasparente e sostenibile, realizzato insieme ad altre 6 organizzazioni italiane.

Un progetto nato con l’obiettivo di promuovere un cambiamento nello stile di vita e nei modelli di consumo e produzione relativi al settore dell’abbigliamento, per una moda più etica, trasparente e sostenibile. In che modo? Informando sugli impatti della fast fashion, educando e sensibilizzando sulle conseguenze delle proprie abitudini di acquisto e su quali pratiche alternative possano essere adottate, promuovendo l’attivazione dei cittadini affinché al cambiamento negli stili di vita individuali si affianchi la dimensione dell’azione politica e collettiva.

Con un target di riferimento in particolare: i giovani. I consumatori che più di tutti vengono influenzati dalle logiche di consumo usa e getta legate alla fast fashion, ma al tempo stesso anche una fascia di età sempre più attenta rispetto agli impatti – soprattutto ambientali – dei propri acquisti e che chiede maggiore responsabilità e trasparenza alle aziende del settore. Non a caso è soprattutto ai giovani e giovanissimi che si rivolge #CambiaMODA!, l’iniziativa lanciata da Mani Tese insieme a Istituto OIkos e FAIR per renderli protagonisti in prima persona di una richiesta di cambiamento per una moda più etica e sostenibile. Una richiesta che riguarda un intero settore, quello dell’abbigliamento, colpito duramente dalla crisi sociale ed economica legata alla pandemia di Covid-19, i cui costi vengono scaricati, ancora una volta, sulle spalle delle categorie più vulnerabili.

#CambiaMODA! non è solo una semplice campagna social ma il progetto di costituzione di una vera e propria comunità di attivisti sul tema moda, nato dalla convinzione che per promuovere un cambiamento reale sia essenziale fare rete tra tutte quelle persone che sentono il desiderio di agire, ma temono che le sfide da fronteggiare siano troppo grandi per essere affrontate individualmente.

La comunità Cambia MODA! vuole essere una risposta a questo senso di impotenza e di inerzia, unendo le voci e le forze di tanti e partendo dal presupposto che ogni azione è in grado di contribuire al cambiamento. Dall’organizzazione di eventi di sensibilizzazione, alla partecipazione a forme di attivismo digitale fino alla semplice condivisione di contenuti sui social, ognuno può fare la propria parte, piccola o grande che sia.

L’iniziativa ha suscitato l’interesse di oltre 3.000 persone in poco più di due mesi, a testimonianza del fatto che la voglia di cambiamento e di impegno verso un sistema moda più equo, trasparente e rispettoso dell’ambiente e delle persone è tanta. Un impegno che, per il momento, a causa delle contingenze attuali ha dovuto necessariamente essere declinato in chiave digitale. L’obiettivo tuttavia è quello di non limitarsi solo al web: al contrario, la comunità nasce con l’idea di avere una componente fisica, fatta di occasioni di incontro e formazione per gli attivisti e di organizzazione di azioni in presenza. Sempre con un comune denominatore: la voglia di cambiare le regole del gioco e di scrivere una storia nuova legata ai nostri vestiti.

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