Smettere di comprare abiti nuovi, possiamo vivere così?

La moda non è frivola, anzi, ha un’importanza fondamentale” nella vita della persona, ” scava nel profondo e parla di noi, di chi siamo e dello stato della nostra civiltà, ma anche dei nostri gusti personali e delle nostre tradizioni locali”. Così dice Orsola de Castro nel suo libro “I vestiti che ami vivono a lungo”. Prosegue l’autrice osservando come “fin da quando l’istinto primordiale di coprire il nostro corpo si è evoluto nel concetto più sofisticato di ornarlo, abbiamo sempre avuto a cuore il nostro modo di vestirci ed è un interesse che continua ad appassionarci”. Perchè, quindi, parliamo di smettere di comprare abiti nuovi?

Perchè oggi l’industria della moda è un’industria enorme e complessa, un intreccio di catene di fornitura, una commistione di marketing, consumismo e profitto che la rende oramai, come spesso noi di Dress the Change sosteniamo, una questione sociale ed ambientale.

Questa commistione, come osservano in un interessantissimo recente articolo l’artista Francesco Vezzoli e Giacomo Papi può essere così raccontata “Mentre le grandi ideologie evaporavano e le religioni perdevano forza, le merci in grado di suscitare desiderio diventarono sempre più importanti in quanto strumenti attraverso cui esprimersi e definirsi. Potevano essere vestiti oppure canzoni. L’identità personale cominciava a passare attraverso la rappresentazione dell’attrazione e del possesso, cioè dalle cose che si consumavano o indossavano, e dai codici che evocavano“.

Ma perché dovremmo smettere di comprare abiti nuovi?

Il costo nascosto degli abiti nuovi è diventato insostenibile per il nostro pianeta e per la società. La crescente domanda di capi di abbigliamento, alimentata dalla fast fashion, ha portato a un ciclo di consumo senza precedenti, con gravi conseguenze ambientali e sociali.

Il volume di abbigliamento prodotto oggi è impressionante. A livello mondiale, vengono realizzati circa 100 miliardi di capi ogni anno (per mettere le cose in prospettiva, sulla Terra ci sono solo 8 miliardi di persone).

Secondo un recente articolo del giornale inglese The Indipendent, “Poiché i marchi e i gruppi globali sono guidati dalla logica di crescita del capitalismo, devono vendere continuamente di più per garantire che i loro azionisti ottengano un ritorno sul loro investimento“. “Ciò significa che la quantità di abbigliamento prodotta è cresciuta in modo esponenziale, e penso che sia evidente osservando il modo in cui Shein e Temu hanno invaso il mercato”. Questa crescita continua ha alimentato un bisogno insaziabile di “novità”. Sono emerse microtendenze che durano giorni, non mesi; i vestiti sono diventati talmente economici che i consumatori non acquistano più un capo aspettandosi di usarlo per 10 anni, ma comprano cinque capi per poi disfarsene dopo pochi utilizzi. Il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente stima che, tra il 2000 e il 2014, le persone abbiano iniziato a comprare il 60% in più di abiti e a indossarli per metà del tempo.

Il modello economico consumistico ha portato, come ben sappiamo, l’industria della moda ad essere tra le industrie più inquinanti al mondo e la questione ci riguarda da molto vicino.

Tre, dei tanti, motivi per dire addio agli abiti nuovi

1. L’impatto ambientale della produzione

Ogni anno vengono prodotti oltre 100 miliardi di capi d’abbigliamento, e la maggior parte finisce in discarica o viene incenerita. La produzione di abiti richiede enormi risorse naturali: per una maglietta in cotone servono più di 2.000 litri d’acqua, e per un paio di jeans si possono superare i 7.000 litri. Inoltre, il settore della moda contribuisce per il 10% alle emissioni globali di gas serra.

2. Inquinamento e rifiuti

La produzione tessile è una delle principali fonti di inquinamento delle acque, poiché molti coloranti e prodotti chimici vengono scaricati nei fiumi senza trattamenti adeguati. I tessuti sintetici, come il poliestere, rilasciano microplastiche durante i lavaggi, contaminando ecosistemi acquatici e terrestri. Secondo il Parlamento Europeo, una singola lavatrice di capi in poliestere può rilasciare fino a 700.000 fibre microplastiche, che finiscono nella catena alimentare. Questo problema è aggravato dalla frequenza dei lavaggi iniziali dei capi di fast fashion, dato che la maggior parte delle microplastiche viene rilasciata nei primi utilizzi.

3. Sfruttamento del lavoro

Dietro i prezzi bassi della fast fashion si nasconde lo sfruttamento del lavoro nei paesi in via di sviluppo. I lavoratori tessili sono spesso sottopagati, costretti a turni massacranti e a lavorare in condizioni non sicure. Ogni acquisto perpetua un sistema che sacrifica i diritti umani per il profitto.

Ma è davvero possibile smettere di comprare abiti nuovi? E quali sfide dobbiamo affrontare per farlo?

Rinunciare agli abiti nuovi potrebbe sembrare un obiettivo ambizioso, ma è un cambiamento alla portata di molti, se affrontato con consapevolezza e creatività.

L’unico modo per combattere il consumismo dell’usa e getta è tenerci le cose. Tutto intorno a noi ci invoglia a buttare, ma noi dobbiamo essere all’altezza della sfida” dice sempre Orsola de Castro.

Alcune alternative interessanti:

Abbigliamento di seconda mano

I negozi dell’usato e le piattaforme online come Vinted e Depop offrono una vasta gamma di capi già utilizzati ma in ottime condizioni. Comprare di seconda mano non solo riduce la domanda di nuovi prodotti, ma contribuisce anche a prolungare la vita dei vestiti già esistenti.

Scambi e condivisione

Organizzare scambi di abiti con amici e familiari è un modo divertente e sostenibile per rinnovare il guardaroba senza acquistare nulla di nuovo. Negli anni sono aumentati tantissimo gli eventi organizzati per swap party e grazie ai vari sociale è facile trovare eventi nelle proprie vicinanze.

Riparazione e personalizzazione

Molti capi possono essere riparati o trasformati per adattarsi alle nuove tendenze. Imparare a cucire o rivolgersi a sarti locali sono opzioni che riducono lo spreco e aumentano il valore dei vestiti.

A volte può sembrare strano spendere di più del valore di un capo per farlo riparare, ma dobbiamo iniziare a cambiare punto di vista e capire che dobbiamo prenderci cura dei nostri vestiti non perchè non possiamo permetterci di comprarne di nuovi, ma perchè non possiamo permetterci di buttarli via.

Ricerca di ispirazione

Attraverso la lettura di libri, l’approfondimento dei temi legati alle conseguenze ambientali e sociali della moda ed alla ricerca di chi ha già percorso queste esperienze si può trovare una fonte di ispirazione e dei consigli per portare avanti un percorso del genere.

Recentemente abbiamo, ad esempio, letto di una presentatrice televisiva britannica che non compra abiti nuovi da più di 20 anni! Una testimonianza rilevante ed impattante.

Le sfide da affrontare

Accessibilità economica e geografica

In alcune aree, i negozi di seconda mano potrebbero essere limitati o i prezzi non necessariamente competitivi rispetto alla fast fashion. Questo è un ostacolo per chi ha un budget ridotto.

Pressioni sociali e pubblicitarie

Viviamo in una società che promuove il consumo come segno di successo e status. Le pubblicità, i social media e le tendenze veloci possono rendere difficile resistere all’acquisto di nuovi capi.

Cambiamento delle abitudini

Smettere di comprare abiti nuovi richiede un cambiamento nelle abitudini di consumo e una maggiore pianificazione. Questo può essere impegnativo per chi è abituato alla comodità della moda veloce.

E quindi? Si può smettere di comprare abiti nuovi?

Smettere di comprare abiti nuovi: la sfida è grande, c’è chi è riuscito nell’impresa e vorrà condividere con noi le sue esperienze e chi si avvicina verso un approccio all’acquisto più responsabile riducendo al minimo i propri acquisti.

Dovremmo però tutti iniziare a porci più domande, ad essere più sinceri con noi stessi e più coraggiosi e chiederci perchè stiamo continuando a sostenere un modello economico, se ciò che stiamo facendo è dannoso per il pianeta e per gli altri.

Concludendo, come abbiamo iniziato, con una citazione della de Castro “cambiare richiede sempre una dose di coraggio, e modificare le nostre abitudini a volte è spiazzante. Ma in questo momento ci troviamo di fronte a una delle più gravi minacce alla nostra evoluzione, il riscaldamento globale, quindi adattare i nostri comportamenti a una nuova serie di esigenze dovrà diventare un’abitudine da adottare al più presto per rendere la nostra società meno inquinata” e più equa.

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