Cos’è lo Xinjiang e chi sono gli Uiguri?
Lo Xinjiang è la più grande regione della Cina che ospita numerosi gruppi etnici, tra cui gli Uiguri, una minoranza etnica turcofona di religione musulmana.
Diverse inchieste giornalistiche hanno rivelato la repressione sistematica che la Repubblica Popolare Cinese sta effettuando dal 2014 contro questa minoranza etnica. Al momento si stima che oltre un milione di Uiguri siano detenuti in “campi di rieducazione” senza un regolare procedimento legale.
Questa potrebbe essere la più grande detenzione di minoranze etniche e religiose dalla seconda guerra mondiale: si parla infatti di un vero e proprio genocidio culturale degli Uiguri.
I campi di “rieducazione” dello Xinjiang, finanziati dallo Stato Cinese, sono di fatto campi di lavoro forzato in cui gli Uiguri producono vari prodotti per l’esportazione, in particolare prodotti realizzati con cotone: nello Xinjiang viene infatti prodotto 1⁄5 del cotone mondiale.
Cosa dice la Cina di tutto ciò?
La Cina difende queste misure come necessarie alla lotta al terrorismo, e nega le accuse di abusi e lavori forzati. Afferma invece che campi sono necessari alla rieducazione del popolo Uiguro per “emanciparlo” e renderlo “libero dell’influenza islamica”.
Noi come facciamo a sapere che la persecuzione degli Uiguri sta accadendo davvero?
Nonostante le negazioni e la propaganda* dello Stato Cinese, siamo certi che questo stia accadendo grazie ad un rigoroso lavoro investigativo effettuate tramite satellite, lo Xinjiang Data Project. Da satellite è stato possibile osservare questi enormi centri di “rieducazione” (di fatto, detenzione). Ci sono inoltre numerose interviste, foto e video che hanno permesso di ricostruire l’intera realtà dei fatti.
Le campagne globali di sensibilizzazione
In seguito alla diffusione notizie sulla persecuzione Uigura sono nate diverse campagne di sensibilizzazione, prima tra tutte End Uyghur Forced Labor lanciata nel luglio del 2020 e condotta da oltre 300 organizzazioni nel mondo tra cui la Campagna Abiti Puliti.
Queste campagne sembrano aver dato i loro frutti: questa situazione è ormai ben nota soprattutto nel mondo della moda, “colpevole” di utilizzare il cotone proveniente dal lavoro forzato dello Xinjiang.
Il problema del cotone prodotto nello Xinjiang
Il 20% della produzione mondiale di cotone arriva dallo Xinjiang. Questo significa che 1 abito in cotone su 5 è prodotto con l’uso di lavoro forzato (fonte: Campagna Abiti Puliti).
Essendo però praticamente impossibile tracciare la materia prima nella filiera della moda, non si sa con esattezza quali e quanti brand utilizzino questo cotone.
Quello che si sa è che a marzo 2021 H&M, Nike, Adidas, OVS, Tommy Hilfiger, Converse, Burberry e New Balance dichiarano di non voler più utilizzare il cotone prodotto dal lavoro forzato degli Uiguri.
Cosa sta succedendo adesso con H&M e la persecuzione Uiguri
Le dichiarazione di questi brand, e le recenti sanzioni internazionali ricevute per violazioni dei diritti umani, hanno portato la Cina a effettuare una massiccia campagna di boicottaggio nei confronti di H&M e di tutti i brand che hanno preso le distanze dai “campi di rieducazione” in cui sono detenuti gli Uiguri.
Il boicottaggio è promosso dal governo: giornali e tv hanno invitato le persone a non comprare più da H&M, che viene oscurato da tutte le principali piattaforme e-commerce del paese. Anche alcune celebrità cinesi hanno interrotto i loro accordi di sponsorizzazione con i brand “colpevoli” di aver infangato il nome dello stato cinese.
“Defaming and boycotting Xinjiang’s cotton while hoping to make money off China? Don’t even dream about it!” dichiara il partito della Lega della Gioventù Comunista su Weibo, uno dei social cinesi più utilizzati. Hua Chunying, portavoce del ministero degli Esteri, ha osservato: “Il popolo cinese non permette che alcuni stranieri facciano soldi sul suo mercato mentre danneggiano e diffamano il Paese basandosi su voci e falsità”. (fonte: Il Corriere)
Il boicottaggio può rappresentare un duro colpo per H&M: la Cina è infatti il quarto mercato più grande per il marchio, con ben 520 negozi.
Perché è una notizia importante
La presa di posizione dei brand contro il lavoro forzato del popolo Uiguro è una notizia storica: finalmente qualcuno sembra prendersi la responsabilità degli abusi della propria filiera, e dichiara di voler intraprendere delle azioni concrete per porre fine alle ingiustizie.
Ma è davvero così?
Difficile dirlo: il rischio di greenwashing è dietro l’angolo.
Si sa, per esempio, che la dichiarazione di H&M di “profonda preoccupazione” verso le condizioni di lavoro nello Xinjiang risale ad un anno fa, ed è stata resa famosa di recente perché diventata virale su Weibo. La dichiarazione, prima visibile sul sito del gruppo, dopo i primi backlash sui social è stata addirittura rimossa.
Diversa la storia del marchio italiano OVS, che ha aderito alla campagna “End Uyghur Forced Labour” a fine marzo (successivamente, quindi, al massiccio boicottaggio cinese di H&M) e dichiarato di utilizzare solo cotone proveniente da altri Paesi o da Paesi aderenti al programma Better Cotton Initiative.
Perché probabilmente non è sufficiente
Se la presa di posizione contro il lavoro forzato può essere considerata una vittoria per i militanti della Fashion Revolution, potrebbe comunque non essere sufficiente.
Le pessime condizioni di vita e di lavoro di molti operai tessili in tutto il mondo sono ancora una realtà a cui molti brand non riescono a trovare soluzione. H&M stesso dichiara di non possedere le fabbriche in cui vengono prodotti i suoi capi, e sappiamo che quando vengono effettuati i controlli nelle fabbriche i proprietari obbligano i lavoratori a mentire sulle ore e sulle condizioni di lavoro. Sembra che fino al 40% degli audit fatto nell’industria della moda sia non veritiero: perfino il Rana Plaza aveva superato un audit poco prima di crollare.
Questo rende evidente che c’è ancora molto, moltissimo lavoro da fare perché l’industria della moda sia finalmente trasparente e equa per tutti; anche quando sembra esserci l’impegno da parte delle aziende, come in questo caso, non è ancora possibile, per il consumatore finale, fare delle scelte veramente informate.
Note
*A inizio aprile 2021 la Cina ha lanciato un film propaganda sugli Uiguri: si tratta di un musical chiamato The Wings of Songs. Il film è finanziato dal governo e fa parte di una campagna di propaganda per sviare l’attenzione della popolazione dalle recenti critiche sui campi di lavoro dello Xinjiang. Il film mostra giovani Uiguri che vivono nello Xinjiang felici e “liberi dell’influenza islamica”. Nel film, che dicono essere ispirato a La La Land, Uiguri e altre minoranze etniche cantano e ballano grate al governo cinese di averle emancipate. Nella prima settimana dall’uscita il film ha già incassato 109.000 dollari.