Greenwashing è un termine utilizzato nel marketing per fare riferimento ad una strategia di comunicazione finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale.
Il termine nasce dall’unione di due parole: green (verde) e washing (lavare). Il termine richiama il verbo to whitewash (imbiancare) neologismo anche questo utilizzato per indicare la pratica di coprire difetti con un’immagine artificialmente positiva.
Con il green washing si vuole far passare il messaggio di svolgere pratiche ambientalmente virtuose per sfruttare questa nuova ondata di sensibilità su temi ambientali.
Scopo del greenwashing è, la maggior parte delle volte, distogliere l’attenzione del pubblico dagli effetti negativi delle reali pratiche industriali.
Esempio di scuola viene raccontato dalla Clean Clothes Campaign con le pubblicità di H&M.
Il messaggio che arriva dalle pubblicità è quello di un’industria che investe in sostenibilità ambientale, che utilizza tessuti eco-sostenibili, che invita i clienti a partecipare a progetti di economia circolare con il riciclo dei propri abiti.
L’industria che manda questi messaggi, però, è la stessa che incenerisce 60 tonnellate di abiti invenduti, e che, principalmente, non garantisce un salario dignitoso ai propri operai.
La sostenibilità nel campo della moda sta diventando una nuova frontiera di investimento per molte realtà e, purtroppo, molto spesso, una maschera dietro la quale nascondere pratiche non particolarmente corrette.
Ma è sostenibile un’impresa che non garantisce le minime condizioni di sicurezza per i propri lavoratori e non garantisce loro un salario minimo? O una i cui fornitori sfruttino il lavoro dei bambini?
Stiamo parlando di diritti umani essenziali.
Ancora, Zara quest’anno ha dichiarato che entro il 2025 tutte le sue collezioni saranno realizzate con tessuti eco sostenibili.
Ma è ambientalmente sostenibile produrre 52 collezioni l’anno di capi di abbigliamento?
Oggi compriamo più di 80 miliardi di capi di abbigliamento all’anno.
È il 400% in più della quantità che compravamo solo vent’anni fa.
Il modo in cui compriamo i vestiti è cambiato tanto e velocemente e solo poche persone hanno fatto un passo indietro per capire l’origine di questo nuovo modello o le conseguenze di un tale aumento nel consumo senza precedenti.
Non fermiamoci alle apparenze, interroghiamoci sul perchè delle cose. Gli abiti che indossiamo ci legano alle vite di chi li realizza, non dimentichiamocelo e battiamoci affinchè queste persone vengano rispettate.