Inizia la collaborazione fra Dress the Change e Fairtrade nella redazione di contenuti. Inauguriamo questa novità con un articolo di Giulia Camparsi, Product Manager Cotone, Fairtrade Italia.
Da quando ho scoperto il costo ambientale, sociale ed economico della coltivazione del cotone sono andata un po’ in crisi.
Cominciamo con l’ambiente: produrre una tonnellata di cotone richiede una piscina olimpionica e mezza di acqua: è tantissimo! Vengono usati in modo massiccio pesticidi e fertilizzanti che inquinano le falde, impoveriscono il suolo e sono pericolosi per la salute se maneggiati male, e OGM che riducono la biodiversità.
Anche dal punto di vista economico e sociale la coltivazione del cotone presenta dei punti oscuri: proprio l’uso di semi OGM comporta un costo notevole e, se effettivamente i primi raccolti hanno una resa maggiore, l’investimento non paga più già nel breve-medio periodo. Nei paesi più poveri, dove si viene pagati in base alle quantità raccolte, spesso vengono impiegati anche bambini: in Uzbekistan, Turkmenistan e Tajikistan, dove esistono delle quote di produzione imposte dallo stato, portare bambini e adolescenti nei campi diventa una necessità, per raggiungere il minimo governativo.
Come per molti beni agricoli il cotone è soggetto a sussidi statali, finanziamenti diretti, dazi, assicurazioni a prezzi agevolati, pagamento di quote minime. Stati Uniti e Cina, dove queste pratiche sono particolarmente diffuse, producono il 40% del cotone mondiale e riescono a immetterlo nel mercato a un prezzo che non rispecchia il costo di produzione, rendendo non competitivo il cotone proveniente da paesi più poveri.
Questo mercato pilotato dai sussidi, la quotazione in borsa, il cambiamento climatico, i prezzi sempre più bassi della fast fashion che comprimono i guadagni lungo tutta la filiera sono elementi che rendono il prezzo del cotone estremamente volatile e in costante calo: 3$/kg degli anni ’60 siamo arrivati al 1,70$/kg odierni.
Poiché più del 60% del cotone mondiale è prodotto da piccoli coltivatori che vivono nei paesi in via di sviluppo, è facile immaginare come tutti questi fattori contribuiscano a un ciclo perpetuo di povertà, fatto di grandi fatiche e debiti dovuti agli elevati costi di produzione (come pesticidi e fertilizzanti), che portano a guadagni insufficienti a garantire una vita dignitosa.
Quindi ho pensato: mai più cotone! Da ora in poi solo poliestere?
Certo che no: inquina produrlo e lavandolo rilascia microplastiche.
Solo seta?
Ok, bellissima ma forse è un po’ troppo per vestirsi tutti i giorni.
Solo bambù e lyocell, e addio ai jeans!
No, non possiamo fare a meno del cotone. Non a caso è da sempre il tessuto di origine naturale più utilizzato nell’industria tessile.
Ci sono milioni di uomini e donne, principalmente in Asia e in Africa, che dipendono da questa pianta per la loro vita e quella delle loro famiglie: è una coltura così importante da essere seconda per diffusione solo al grano e alla soia.
Come faccio a trovare del cotone che sia sostenibile sia per questi agricoltori che per l’ambiente?
Quando ho iniziato a lavorare per Fairtrade ho trovato la risposta a questa domanda. Sono andata a spulciare lo standard di certificazione per il cotone e ho scoperto che comprende una soluzione per ciascuna delle sfide che ho elencato sopra.
I piccoli produttori di cotone certificati Fairtrade ricevono formazione su come usare in maniera efficiente e sostenibile l’acqua, e su come sviluppare buone pratiche di agricoltura integrata per minimizzare l’uso di pesticidi. Esiste una lunga lista di prodotti agrochimici proibiti, così come è vietato l’uso di OGM.
Contro l’impoverimento del terreno, le regole di Fairtrade prevedono zone di sicurezza in prossimità delle aree protette e training sulla gestione del suolo e sull’introduzione del compost.
Il lavoro minorile è proibito, mentre le problematiche relative alla volatilità dei prezzi vengono mitigate dall’obbligo per il compratore di pagare un Prezzo Minimo, stabilito da Fairtrade e calcolato in modo da coprire i costi medi di una produzione sostenibile.
Questo prezzo minimo funge da rete di salvataggio quando il prezzo di mercato crolla.
Fairtrade non lavora con le grandi piantagioni di cotone, ma solo con i piccoli produttori dei Paesi in via di sviluppo, di solito organizzati in associazioni o cooperative. Oltre al prezzo minimo, queste associazioni possono contare su contratti di pre-finanziamento e sul Premio Fairtrade, una somma aggiuntiva che ciascuna organizzazione decide in maniera democratica come investire: miglioramenti strutturali e organizzativi della cooperativa stessa, formazione ai soci, servizi educativi e sanitari.
Insomma: quando su un capo di cotone trovo questo marchio, lo acquisto con più serenità.
So che chi ha prodotto la materia prima ha guadagnato un po’ di più e che per la coltivazione sono state usate tecniche più sostenibili per l’ambiente.