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Conoscere l'etichetta di cura e manutenzione? – Dress the change

Etichetta di cura e manutenzione

Assieme alle informazioni obbligatorie, i produttori di abbigliamento possono integrare l’etichetta con indicazioni facoltative utili ad orientare il consumatore.

Quelle più diffuse riguardano la manutenzione del prodotto e le caratteristiche di qualità della materia prima. L’etichetta che riporta la cura del capo permette di conoscere sostanzialmente le modalità di pulizia, al fine di mantenerlo più a lungo nel suo aspetto originario e di proteggerlo da eventuali danni irreversibili, prolungando il più possibile la vita dell’indumento.

I pittogrammi utilizzati sono comprensibili in tutti i Paesi a prescindere dalla lingua. Sulle etichette di manutenzione è inoltre consentito aggiungere indicazioni addizionali che chiariscono ed integrano le istruzioni (ad esempio “lavare separatamente”, “stirare a rovescio”, ecc.).

L’etichetta di manutenzione deve essere applicata direttamente sull’articolo, in modo tale da essere difficilmente rimovibile; va realizzata in materiali resistenti ai lavaggi e a tutti i trattamenti di manutenzione indicati.

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I principali pittogrammi e i relativi significati

 

Da tenere presente per la cura dei propri capi ci sono inoltre delle accortezze, tra cui:

    • Ogni volta che un indumento ha una composizione mista, vanno considerate le caratteristiche delle singole fibre presenti: ad esempio, se un capo contiene una percentuale di lana, dobbiamo evitare un fisiologico infeltrimento che questo materiale porta se lavato non correttamente (ovvero a temperature troppo alte o con una centrifuga troppo aggressiva);

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  • Utilizzare l’asciugatrice espone i capi ad un trattamento ulteriore, non strettamente necessario e potenzialmente dannoso – nonostante esistano asciugatrici di tutti i tipi e con le quali si possono ottenere ottimi risultati. Al pari della stiratura, asciugare artificialmente i vestiti li espone al rischio di rovinarsi. A livello energetico, per quanto efficiente sia il macchinario, l’utilizzo è superfluo e corrisponde quindi ad un consumo energetico sostituibile con l’asciugatura tradizionale. Tuttavia, nel caso estremo in cui non si disponga degli spazi necessari per far asciugare bene gli indumenti, l’asciugatrice può essere utile a non rovinare i capi;
  • Fibre naturali come lana e seta devono subire un lavaggio delicato e con la minima centrifuga. Inoltre, poiché hanno una capacità di assorbimento molto elevata, è necessario non esagerare con il detergente, che potrebbe rimanere nelle fibre e rovinarle asciugandosi (infeltrimento, aloni, ecc.);
  • Il denim non richiede di essere lavato troppo spesso, soprattutto perché nella maggior parte dei casi ha già subito dei trattamenti che hanno rovinato le fibre. Finché l’indumento non ha macchie, è possibile tenerlo all’aria aperta per farlo “respirare”;
  • Tutte le fibre naturali sono in grado di perdere i cattivi odori se lasciate all’aria aperta, contrariamente alle fibre sintetiche;
  • Il lavaggio degli indumenti non richiede nella maggior parte dei casi dei cicli aggressivi o temperature alte, soprattutto se è finalizzato a “rinfrescare” il capo. Un lavaggio efficiente consiste nel pre-trattare le zone critiche (quelle in cui sono presenti macchie o che sono più a contatto con la pelle) e lavare blandamente il tutto in un secondo momento;
  • Tenere le temperature di lavaggio basse aiuta a ridurre le emissioni di CO2: secondo uno studio inglese riportato dal The Independent, se tutti i nuclei famigliari in UK avessero usato solo cicli a 30° per un anno, avrebbe compensato l’equivalente emissione totale di 1.550 case per quello stesso anno;
  • Il lavaggio di capi contenenti fibre sintetiche contribuisce all’inquinamento dell’acqua attraverso il rilascio di piccolissime particelle denominate “microplastiche”. Questo fenomeno avviene senza alcuna manifestazione apparente a causa delle dimensioni molto ridotte di queste particelle. Perché dovremmo preoccuparci? Uno studio condotto dall’Università di Newcastle (a nord di Sydney) e commissionato dal WWF ha permesso di realizzare che attraverso cibo e bevande deglutiamo fino a 2000 minuscoli frammenti per settimana, che corrispondono a circa 5 grammi: l’equivalente di una carta di credito. La maggior parte delle microplastiche vengono assunte con l’acqua che si beve dalla bottiglia e dal rubinetto. Le particelle sono infatti presenti nell’acqua di tutto il mondo, partendo dalle fonti più superficiali fino alle falde. Frutti di mare, birra e sale sono gli alimentari con i più alti livelli registrati. Per evitare di contaminare ulteriormente le fonti d’acqua, è consigliabile utilizzare in lavatrice delle soluzioni già in commercio come il sacchetto per la biancheria “Guppyfriend” o la “Cora Ball” di Rozalia Project: questi strumenti permettono infatti di trattenere buona parte delle microplastiche rilasciate dagli indumenti in fase di lavaggio.

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