Fast Fashion
La Fast Fashion nasce negli anni ’80 ed esplode dal 2000 quando le aziende di moda hanno iniziato a produrre un numero sempre maggiore di collezioni l’anno a costi stracciati, passando dalla realizzazione di 2 collezioni l’anno (Primavera/Estate, Autunno/Inverno) a 52.
Earnest Elmo Calkins nel 1800, affermò come i prodotti potessero essere divisi in due categorie: i prodotti che usi e quelli che consumi, come si fa con le gomme da masticare e le sigarette, o altri beni deperibili. Per il pubblicitario il consumismo significava far sì che le persone trattassero le cose che usano come quelle che consumano. E così ha fatto la Fast Fashion per i nostri vestiti.
L’impatto della Fast Fashion ha rivoluzionato il modo in cui acquistiamo i vestiti ma solo pochi consumatori si interrogano per capire l’origine e gli impatti di questo spietato modello di business.
La Fast Fashion innesca un circolo vizioso estremamente dannoso per l’uomo – essere vivente e consumatore allo stesso tempo – ed il pianeta.
Il basso costo di un capo di abbigliamento è il frutto di diverse scelte poco sostenibili e molto impattanti come la scelta di appaltare la mano d’opera solo ad aziende presenti in Paesi in via di sviluppo in cui non vengono riconosciuti i diritti minimi dei lavoratori e non esistono norme che disciplinino la tutela dell’ambiente da parte delle industrie. Il basso costo di un capo di abbigliamento nasconde sempre un alto costo sociale e ambientale.
Il modello di business della Fast Fashion incoraggia un sovraconsumo di abiti e genera una quantità di rifiuti costante talmente eccessiva che non si è quasi più in grado di smaltirli.
Il basso costo del prodotto fa sì che il consumatore acquisiti sempre di più rispetto a quello di cui ha realmente ha bisogno. Il senso del valore e dell’affezione di un indumento è praticamente svanito in virtù della possibilità di acquistare continuativamente altri indumenti, apparentemente più necessari dei precedenti. Conseguenza diretta è che il consumatore sia disposto a cambiare il suo guardaroba di continuo seguendo i trend scelti dalle grandi aziende di moda, dai canali social degli influencer e dalle riviste di settore.
La proliferazione dello shopping on line e la possibilità dei resi ha trasformato l’acquisto degli abiti in un’attività semplice, istantanea e senza confini. La continua offerta di saldi e sconti privati rende l’acquisto sempre più appetibile ed accessibile impedendo una riflessione sull’effettiva necessità del prodotto.
Il mondo ha iniziato a rendersi conto dei risultati dannosi per l’uomo e l’ambiente della Fast Fashion seguito della tragedia di Rana Plaza, in cui il 24 aprile del 2013 crollò a Dacca una palazzina di otto piani dove erano collocate 5 diverse fabbriche tessili di abbigliamento per marchi internazionali. Nel crollo dell’edificio morirono 1.129 persone e ne rimasero ferite più di 2.500. Solo a seguito di questa terribile tragedia il mondo ha iniziato a rendersi conto delle conseguenze umane del frenetico mercato della moda.
Fast data
Secondo il Centre for Sustainable Fashion queste sono le principali problematiche derivanti dall’industria della moda.
Diminuzione delle risorse naturali
L’industria della moda è quasi completamente dipendente dall’utilizzo di combustibili fossili e dalla necessaria manodopera.
La produzione di un paio di jeans si estende per 4 continenti e le varie componentistiche con cui viene realizzato un jeans possono viaggiare fino a 65.000 km.
Metà dei danni ecologici prodotti dalla produzione di jeans sono collegati al trasporto, l’altra metà alla raccolta del cotone.
Schiavitù moderna
In Guandong, Cina, le giovani donne fanno fino a 150 ore mensili di straordinari. Il 60% di loro non ha un contratto ed il 90% non ha accesso alla previdenza sociale. In Bangladesh i lavoratori tessili guadagnano 44 dollari al mese (a fronte di un salario minimo pari a 109 dollari) — fonte: Fashion Revolution.
7,4 milioni i bambini bangladesi sono costretti a lavorare fin da piccoli per contribuire al mantenimento delle proprie famiglie, divenendo vittime di abusi e torture nel 17 % dei casi — Fonte “Bangladesh Child Right Forum”.
Sfruttamento ed inquinamento delle risorse idriche
Il 20% dell’inquinamento delle risorse idriche mondiali dipende dall’industria della moda.
Molte fabbriche espellono le acque inquinate nelle risorse idriche naturali avvelenando fiumi, mari e acque sotterranee distruggendo per sempre qualsiasi ecosistema presente.
Inquinamento da pesticidi
È responsabile per il 20% dell’inquinamento delle acque e delle emissioni di gas nocivi nell’aria.
1/4 dei pesticidi prodotti in tutto il mondo si utilizza per la coltivazione del cotone. In India, paese in cui viene coltivata la maggior parte del cotone utilizzato nell’industria della moda, queste sostanze tossiche non sono state vietate come in Europa.
Sfruttamento del suolo
La moda è direttamente collegata allo sfruttamento della terra e al processo di perdita della biodiversità attraverso lo sfruttamento del suolo.
Dai campi di cotone ai campi di allevamento di bestiame per la realizzazione del pellame.
Cambiamenti climatici
È stato previsto che le emissioni di CO2 prodotte dall’industria della moda aumenteranno del 60% nei prossimi 12 anni.
Solo il trasporto dell’industria dei jeans produce il 13% delle emissioni annue totali di CO2.
Consumismo e sprechi
In occidente compriamo abiti per il 400% di più che venti anni fa’. In questi 20 anni i vestiti sono diventati sempre più economici e di minore qualità. In tal modo le persone sono indotte a comprare sempre più abiti che vengono conservati per periodi brevissimi, come una sola stagione.
Benessere Umano
L’attuale ritmo di produzione dell’industria della moda compromette il benessere di lavoratori, delle comunità, degli animali e dell’ambiente.
La moda sostenibile
Quando si parla di sostenibilità nella moda si intende considerare un nuovo modello, in grado di misurare la richiesta dei beni in base alla disponibilità delle risorse – intese anche come forza lavoro – perseguendo l’obiettivo di una giustizia sociale.
Siamo alla ricerca continua di talenti appassionati di moda sostenibile, ambiente e consumo responsabile. Inviaci la tua proposta e unisciti alla community!