The Leather Issue: possiamo veramente parlare di sostituti della pelle? (P/1)

Come molti materiali tradizionali, la pelle ha ancora un ruolo centrale nella moda. Le sue caratteristiche la rendono infatti non solo simbolo di lusso e pregio, ma anche mezzo prediletto per la realizzazione di accessori ed oggetti a cui sono richieste robustezza e longevità.

Sebbene i designer siano da sempre innamorati della pelle, ultimamente la questione relativa alla sostenibilità di questo materiale ha fatto vacillare molte sicurezze: quanto è dannoso per l’ambiente utilizzare la pelle? Ma soprattutto: esistono alternative?

La risposta non è univoca. Raramente sono disponibili presso i consumatori i dettagli relativi alla provenienza del materiale ed alla sua lavorazione.
Per orientarsi in un mercato veramente ampio è necessario usare gli strumenti adeguati. È utile a tal proposito interrogarsi principalmente su tre questioni:

  1. L’origine del materiale, pelle o surrogato che sia. Che impatto ha l’approvvigionamento e la lavorazione della materia prima di cui è composto?
  2. L’adeguatezza del materiale finale allo scopo, oltre che la sua durabilità e la capacità di rispondere alle richieste dell’acquirente.
  3. Lo smaltimento del materiale una volta che il prodotto finito (cioè il capo di vestiario) ha terminato il proprio ciclo di vita.

Passando al vaglio questi tre punti è possibile capire se la pelle è potenzialmente sostenibile.

La maggior parte della pelle utilizzata dall’industria della moda, se si escludono il pitone, il coccodrillo e le pellicce, proviene da vitelli ed ovini di allevamento, per cui è subordinata alla domanda del settore alimentare.

La questione si sposta da un’industria ad un’altra. Sostanzialmente un consumo moderato di prodotti di origine animale (dalla carne alla pelle) costituirebbe di per sé già un’attenuazione delle conseguenze di allevamenti intensivi, prima tra tutti la produzione massiccia di CO2. Non esistono, ad ogni modo, allevamenti bovini/ovini destinati a ricavare solo la pelle.

Per quanto riguarda la durabilità del materiale, la pelle è sicuramente un materiale con alte prestazioni, grazie a caratteristiche come fibrosità, porosità, capacità di rigenerarsi.

Detto questo, i pellami utilizzati comunemente nel settore fashion sono spesso ottenuti da scarti (chiamati “cascami”), impastati e pressati per ottenere uno strato omogeneo, che viene ricoperto da un film plastico liscio o stampato con una texture.

Tramite questo processo si ottiene, ad esempio, il cosiddetto “saffiano”, pellame iconico di brand luxury come Prada e Michael Kors.

Ovviamente l’utilizzo di cascami e il successivo impastamento/ricopertura rappresentano un ciclo produttivo altamente impattante, fondato sull’utilizzo di colle e plastiche difficili da smaltire una volta realizzato il prodotto finito.

Un’altra consistente parte di pellami lisci, tendenzialmente quelli più morbidi, viene lavorata con un tipo di concia al cromo, in grado di ottenere colori brillanti ed uniformi.

Che cosa si intende per “concia”?

Si tratta dell’insieme di trattamenti che vengono fatte sulla pelle prima di ogni altra lavorazione, con l’obiettivo di conservare il materiale al meglio delle sue caratteristiche. Fanno parte della concia anche processi di depilazione, ingrassamento e tintura, necessari a rendere il pellame più uniforme e liscio. Circa il 90% di tutto il cuoio prodotto nel mondo è stato conciato con il cromo; è possibile utilizzare questa tecnica su pelli bovine, pelle di pecore, agnelli, capre, maiali. 

La concia al cromo, ad oggi e in Italia, non è di per sé nociva. La normativa europea ha bandito dal processo ogni sostanza potenzialmente tossica per l’uomo. Alcuni soggetti potrebbero però essere allergici alle sostanze chimiche in questa concia: in tal caso è consigliabile l’uso di pellami conciati al vegetale.

La cosiddetta “concia al vegetale”, alternativa al cromo, utilizza tinture ottenute con la macerazione di materiale organico come corteccia di alberi, bacche e fiori. Questo tipo di concia è molto più semplice da smaltire – le tinture sono biodegradabili – ma richiede tempi più lenti e non permette di ottenere colorazioni particolarmente brillanti e sature.

Quello che più dovrebbe far riflettere sull’utilizzo di vera pelle è che esistono cicli produttivi in grado di renderla un materiale sostenibile.

Tuttavia la scelta di produrre con procedimenti ecologici non si sposa con dinamiche che prediligono la velocità di produzione e l’ammortizzamento dei costi tramite grandi quantitativi di materiale.

In altre parole: i designer per primi sono troppo abituati ad avere a disposizione qualunque colorazione di pellame, conciato in maniera uniforme, apparentemente lussuoso, a basso costo.

Una progettazione ed un consumo responsabili dovrebbero promuovere la concia al vegetale e riconoscere la particolarità della pelle includendo tutti i difetti e i segni tipici. Una soluzione parallela sempre attuabile consiste nel comprare prodotti in pelle di seconda mano, in modo da prolungare il più possibile il ciclo di vita di prodotti teoricamente molto durevoli.

Andrea Solenghi
La costante esposizione con l’industria della moda e del lusso mi ha portato pormi molte domande sulle scelte dei brand. La mia collaborazione con Dress the change vuole portare alla luce tematiche di sostenibilità dal punto di vista degli “addetti ai lavori”.

Share This

Copy Link to Clipboard

Copy